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Un passaggio “piovoso” da “Apollo nel caos”

Io e Paolo avevamo deciso che intorno alle dieci di quella sera saremmo andati in centro a bere qualcosa; ma già mentre guidavo verso casa, il cielo si era fatto livido e grosse nuvole scure gonfiavano l’orizzonte. Anche le notizie meteo alla radio annunciavano l’imminente arrivo di una perturbazione temporalesca, accompagnata da un brusco calo delle temperature, per cui, di comune accordo, decidemmo di rimandare all’indomani il programma della serata.

Arrivato a casa, guardai l’orologio: le 20,30. Decisi di fare una doccia prima di cenare, per scrollarmi di dosso tutta la stanchezza della settimana…

Ero ancora davanti allo specchio semiappannato del bagno quando udii il suono acuto del citofono provenire dall’ingresso di casa. Chi poteva essere con quel tempo? Immaginai che fosse Paolo il quale, pur di non rimanere chiuso in casa, si era deciso a sfidare il nubifragio. Premetti il pulsante. Ma, colto di sorpresa, fui raggiunto da una voce femminile.

“Ciao Giulio, sono Flavia. Sei occupato o posso salire?”.

Flavia: il cuore ebbe un balzo improvviso e per qualche istante smisi di respirare. Poi, ancora incredulo ma cercando di riprendere il controllo, mi affrettai a rispondere: “Certo Flavia, vieni pure. Scala I, terzo piano. Ti aspetto”.

Seguirono momenti concitati di panico allo stato puro.

Dopo aver lanciato un’occhiata veloce al soggiorno, rapido come una scheggia raccolsi gli abiti che avevo lasciato sulla poltrona e, appallottolandoli, andai a lanciarli nell’armadio in camera da letto. Guizzando come un lampo, rassettai i cuscini sul divano e portai in cucina la bottiglia mezza vuota di birra. In fretta e furia tornai in camera da letto e con i capelli ancora umidi, mi infilai incespicando un paio di jeans, una camicia e le trainers. Poi, cercando di riprendere a respirare a ritmo regolare, mi appostai all’ingresso e, tentando di esibire la massima disinvoltura, attesi il suono del campanello.

Flavia arrivò portando con sé un profumo di resina e pioggia, insieme a una ventata di aria gelida, tagliente come il vetro. Esitò un attimo prima di entrare, guardandosi intorno, strisciando la suola bagnata delle scarpe sullo zerbino. “Che tempo infernale! Sono completamente zuppa” disse accennando un sorriso. Le rivolsi anch’io un sorriso affabile, invitandola a entrare e, chiusa la porta alle nostre spalle, le presi l’ombrello e l’aiutai a sfilare l’impermeabile fradicio.

Col cuore che pulsava, le feci strada verso il soggiorno…

Adriana Ostuni, “Apollo nel caos”, pagg. 82-83-84