Un passaggio da “Apollo nel Caos”
Guardai dalla finestra: fuori era ancora buio, la città addormentata nel sonno benefico che precede l’alba. Solo più tardi si sarebbe risvegliata per riprendere la sua corsa ansimante e frettolosa, sotto la spinta dei desideri, delle speranze, delle illusioni, in quel perenne moto ciclico che sembra dare un senso alla vita di ogni giorno.
Il gorgoglio del caffè mi riscosse dai miei pensieri. Mi guardai intorno: anche la casa era fredda, buia, assorbita dal silenzio che si aggrappa all’ultimo scampolo della notte.
Una fitta di gelo mi attraversò il corpo e lentamente sentii il dolore farsi spazio e dilatarsi, sostituendosi al senso di vuoto che avevo dentro di me.
E in quel preciso istante, mentre fuori la notte si ritirava cedendo il passo alla luce del giorno, mentre io mi stringevo nelle spalle rabbrividendo, fui preso da un sentimento di smarrimento simile alla desolazione di un esiliato; e allora, in quell’attimo senza tempo, avvertii tangibile la penosa, struggente sensazione di non essere mai stato così solo.