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Riflessione

La parola maschera, si sa, è collegata al Carnevale, al periodo dell’anno famoso per i travestimenti e per le feste popolari che precede la Quaresima e che culmina oggi con il Martedì Grasso. Sotto l’aspetto psicologico, il termine, andando oltre il significato letterale, va ad evocare l’dea di un vero e proprio filtro a cui spesso si ricorre per schermarsi, per celarsi, per apparire al mondo in un modo diverso da ciò che realmente si è. Molto spesso, viviamo infatti nella cultura dell’apparire, più che dell’essere. È come se avvertissimo il bisogno di confezionarci un sorriso per vivere sotto la sua protezione, di camuffarci, di nascondere agli altri i nostri piccoli difetti e le nostre fragilità, giudicandoli come  disdicevoli e sconvenienti. Così facendo, finiamo per divenire complici dell’apparenza, per indossare una maschera o meglio, un’esistenza che non ci appartiene del tutto, pur di conquistarci quel posto al sole nella società che giudica dalle apparenze. A noi dunque la scelta tra essere o apparire: una decisione che il Carnevale, volgendo al suo epilogo, ripropone a tinte forti, invitando non soltanto all’allegria e allo spirito giocoso, ma anche alla riflessione.