“La forma dell’acqua”, un film, una fiaba romantica. Tra sogno e realtà
“La forma dell’acqua”, ieri sera in programmazione su Rai 1, film del 2017: una pellicola originale, dalle atmosfere surreali, ambientata in tempi di Guerra Fredda, sotto la regia di un grande Giullermo del Toro, vincitrice di prestigiosi premi cinematografici, a mio avviso più che meritati. Nel film è l’acqua il leitmotiv che pervade l’intera storia, l’acqua, la vera sintesi del sentimento amoroso che fluisce per spargere bellezza su ogni cosa. L’acqua come simbolo benefico, come elemento salvifico, portatore di vita, che dà forma e consistenza ai sentimenti più puri e genuini, quelli che nel finale del film consentiranno ai protagonisti, la umile e ingenua Elisa e lo scultoreo uomo-anfibio senza nome, catturato per sperimentazioni a scopi militari, di trovare proprio in questa dimensione la possibilità per farli sopravvivere. Il resto, tutto ciò che dà origine al pregiudizio, al cinismo, alla violenza gratuita, al ripudio preconcetto della diversità, tacciata a priori come minacciosa, è lasciato sulla terra. Nell’acqua invece, dove tutto fluisce con magica perfezione per trascinare i buoni verso una dimensione ignota, si intravede uno spiraglio, un varco che spiani la strada al lieto fine e che consacri, in controtendenza con ciò che spesso accade ai nostri giorni, un amore contrassegnato dal “per sempre”. Tra fantasia, magia e realtà, Del Toro ci propone con efficace maestria una fiaba romantica dai risvolti toccanti, in cui la prosa sposa e incarna la poesia, in un connubio sognante, per farci approdare in un finale dal significato non scontato, in cui i veri mostri non sono certo le creature aliene. Un epilogo che si affida al lirismo di brevi versi finali, a fare da sponda ai sentimenti più nobili e profondi, complice una splendida colonna sonora. Un finale che, grazie all’acqua, trasporta lo spettatore in una terra ovattata di mistero, in cui tutto, anche il dolore, sembra svanire.