Il compromesso: una riflessione
Ci sono parole che con lo scorrere del tempo perdono una parte consistente del loro significato originario, finendo per assumere connotazioni non sempre positive. Una di queste è sicuramente “compromesso”, un termine che deriva dal latino compromissuse che nasce dall’unione del prefisso cum, vale a dire con, insieme e promissus col significato di promesso.
Compromesso dunque, col valore di accordo pacifico che ripudia qualsiasi confronto o scontro violento. Una parola di pace, appunto, dal significato nobile e solenne, nata da uno spirito laborioso, il che implica un impegno forte per il perseguimento di finalità comuni. Si pensi ai compromessi, imprescindibili, se vogliamo, nel campo degli affari o della politica, in cui le parti in gioco, attraverso reciproche concessioni, riescono a raggiungere un’intesa finalizzata alla realizzazione di un comune obiettivo, favorevole per entrambe. Emblematica in questo senso l’esperienza del famoso Compromesso Storico, nato dalla collaborazione nel 1973 tra il Partito Comunista Italiano e la Democrazia Cristiana, allo scopo di giungere a una coalizione governativa che godesse di un ampio consenso popolare.
Ma, come sottolineato in partenza, il termine compromesso viene molto spesso utilizzato nella sua accezione negativa e ormai prevalente, dunque col valore di danneggiare, pregiudicare, mettere a rischio, a repentaglio. Nel linguaggio comune si adoperano spesso espressioni quali “un oggetto ormai compromesso”, ovvero, “una persona dalla reputazione compromessa” e via dicendo.
E qui si apre l’indagine sul significato esistenziale di compromesso. Dal mio punto di vista, anche in campo affettivo o nella socialità, quindi non solo in quello professionale o in politica, si è spesso portati a interagire con l’altro sulla base del compromesso. Il che non è sempre un fatto negativo, quando spontaneamente si cede a qualcosa per accogliere il punto di vista dell’altro, o si rinuncia a qualcos’altro per farsi carico delle esigenze di colui con il quale ci relazioniamo, qualora queste siano ritenute legittime e meritevoli di essere supportate, o qualora si vogliano superare i piccoli conflitti quotidiani, o evitare contrasti e far funzionare relazioni a cui si tiene veramente.
Ma anche in questo ambito, a mio avviso, al pari di quello professionale, il compromesso ha, anzi deve necessariamente porsi un limite, una linea di demarcazione invalicabile, oltre la quale non si dovrebbe mai sconfinare, in quanto al di là di quella linea, spesso sottile, si rischierebbe di precipitare nelle sabbie mobili di un terreno impervio che non può che portare alla gravosa rinuncia di due valori legittimi, fondamentali, e credo anche, irrinunciabili per ogni essere umano: la dignità e il rispetto verso se stessi.
In conclusione, credo che occorra, sì, scendere a compromesso, quando ciò sia espressione di flessibilità e di buon senso, ma mai e poi mai cedervi, qualora si mettano a rischio, andando a ledere l’amore e il rispetto verso se stessi, le condizioni comportanti la rinuncia a quei valori fondanti, riconosciuti da ognuno come parti irrinunciabili di sé.