D’estate
D’estate
La sabbia era abbagliante, una distesa dorata di mare asciutto, plasmata dalla scia del vento e il mare una superficie liquida mossa dallo sciabordio intermittente delle onde sulla battigia.
Quando al mattino il calpestio dei primi bagnanti rese irregolare l’ondulato assemblaggio di quei minutissimi frammenti di rena, il sole era ancora basso, vicino alla linea dell’orizzonte.
Gradualmente l’arenile si infittì di ombrelloni, svettanti come funghi, a ospitare gruppuscoli di gitanti via via più numerosi, impegnati a fare la spola tra le sdraio e la riva.
Intorno a mezzogiorno, con il sole allo zenit, la spiaggia era divenuta un microcosmo affollato di famigliole, di signore di mezza età, di ragazzini schiamazzanti concentrati a inseguire palloni o a compiere evoluzioni acrobatiche sulla riva, che sollevavano schizzi d’acqua salata insieme ai rimbrotti di chi ne veniva investito, e di bambini imbracati in salvagenti, bardati di bracciali gonfiabili o armati di palette, formine e secchielli ricolmi di materia umida, pronta a trasformarsi in granulosi prototipi di castelli.